Nerone Imperatore

Un mostro al potere?

L'imperatore romano Nerone è passato alla storia come un tiranno crudele e megalomane. Questa rappresentazione, pur non priva di fondamento, si deve in gran parte alle sue scelte politiche: Nerone infatti attuò, accanto a misure molto discutibili e spregiudicate, anche provvedimenti coraggiosi, che però gli alienarono quelle classi sociali che ne avrebbero poi tramandato il ritratto di uomo crudele

NERONE IMPERATORE

Nato nel 37 d.C. da Gneo Domizio Enobarbo e da Agrippina Minore, Lucio Domizio Enobarbo era il rampollo di una delle più nobili famiglie romane. In quanto pronipote di Ottaviano Augusto per parte di madre, Nerone crebbe a corte con sua zia Messalina, moglie di Claudio, ed ebbe come maestro il grande filosofo Lucio Anneo Seneca. Alla morte di Messalina, Claudio sposò proprio Agrippina e adottò Nerone. Dopo l'adozione Lucio Domizio cambiò il suo nome in quello di Nerone Claudio Cesare e, pochi anni dopo, sposò Ottavia, la figlia di Claudio e Messalina.

Nel 54 Claudio morì, e Nerone gli successe alla guida dell'Impero. I suoi primi cinque anni di governo (quinquennium Neronis) sono descritti in tutte le fonti come anni felici: sotto l'influenza di Seneca e del prefetto del pretorio Afranio Burro, Nerone seguì una politica favorevole al Senato, tesa a garantire i privilegi e le immense ricchezze di questo influente gruppo di potere e del ceto dei liberti (ex schiavi) affaristi; gli insegnamenti di Seneca, inoltre, sollecitavano nel giovane e influenzabile imperatore l'amore per la cultura greca che sarebbe esploso, con manifestazioni eccessive e maniacali, nella seconda parte del suo regno.

Nel frattempo Nerone iniziò una relazione sentimentale con la bellissima Poppea, suscitando l'indignazione della moglie Ottavia e della madre Agrippina, che tentò addirittura di prospettare la sostituzione sul trono di Nerone con Britannico, figlio di Claudio e Messalina. Nerone, allora, agì con spietata lucidità: eliminò in successione Britannico (55), Agrippina (59) e infine Ottavia (62).

CONTRO I SENATORI

L'anno del matricidio (58-59) fu l'anno della svolta nella politica dell'imperatore. Nerone si svincolò dai suoi consiglieri per intraprendere una politica demagogica – fatta di grandi giochi per il popolo e di distribuzioni di pane e di denaro – che si sarebbe via via accentuata nel corso del regno.

Per colpire il lusso sfrenato della classe senatoria e dei potenti liberti imperiali Nerone attuò una riforma monetaria tesa a favorire il potere di acquisto della moneta d'argento – che circolava soprattutto nelle mani della classe media, dell'esercito e della burocrazia imperiale – sulla moneta d'oro, che era posseduta soprattutto da senatori e dai liberti imperiali. Questa politica si rivelò utile ed efficace, ma alienò per sempre all'imperatore i favori della classe senatoria, che fu in particolare colpita dalla riforma. Sempre nel 58 Seneca si ritirò dalla vita pubblica. Pochi anni dopo Afranio Burro moriva in circostanze non chiare.

L'INCENDIO DI ROMA

Nel 64, a Roma, si sviluppò il celebre incendio del quale vennero accusati i cristiani. In realtà si trattò di uno dei tanti incendi che minacciavano continuamente la popolosa capitale dell'Impero, ma l'odio contro il tiranno da parte di senatori e di cristiani, nonché il fatto che Nerone approfittò dell'incendio per intraprendere la costruzione di un'immensa reggia – la Domus aurea – portò alla diceria che l'incendio fosse stato opera dello stesso imperatore. In ogni caso, durante quella che fu la prima persecuzione contro i cristiani vennero martirizzati s. Paolo e s. Pietro.

Nel 65, venne scoperta e punita la congiura capeggiata da Calpurnio Pisone, che portò all'uccisione di Seneca, Petronio e Lucano, tre dei maggiori autori della letteratura latina.

In Oriente, frattanto, si verificarono eventi importanti: la sottomissione temporanea dell'Armenia all'egemonia di Roma e lo scoppio della grande rivolta giudaica che si sarebbe concluso solamente nel 70 d.C. con la conquista di Gerusalemme da parte di Tito e la definitiva distruzione del tempio.

L'ostilità della nobiltà senatoria e della corte diede origine, alla fine, a un'insurrezione militare, che costrinse al suicidio Nerone ormai braccato (68). Aborrita dalla storiografia di matrice senatoria e da quella cristiana e giudaica, la figura di Nerone conservò tratti positivi solamente nel ricordo della plebe urbana, che sempre gli rimase grata e riconoscente.