Nascita e caduta del fascismo.

Movimento politico italiano fondato nel 1919 da B. Mussolini, giunto al potere nel 1922 e rimasto al governo dell'Italia fino al 1943.

Per estensione il termine indica movimenti e regimi sorti in Europa e in altri continenti, dopo la Prima guerra mondiale.

Il patto di acciaio tra Hitler e Mussolini.

LE ORIGINI DEL FASCISMO IN ITALIA

Le origini del f. si innestano nel processo di crisi e di trasformazione della società e dello Stato, iniziato in Italia negli ultimi decenni dell'Ottocento con l'avvio dell'industrializzazione, accompagnato da fenomeni di mobilitazione sociale, che coinvolsero il proletariato e i ceti medi e diedero un forte impulso alla politicizzazione delle masse. Alcuni motivi culturali che contribuirono alla formazione del f. sono presenti, alla vigilia della Prima guerra mondiale, in movimenti radicali di destra e di sinistra (il nazionalismo, il sindacalismo rivoluzionario, il futurismo). 

Le condizioni per la nascita e il successo del f. furono però poste dalla guerra e dalle sue conseguenze economiche, sociali, culturali e morali, che accelerarono violentemente la trasformazione della società e la crisi dello Stato liberale, suscitando nuove forze che non si riconoscevano nella democrazia parlamentare. L'esperienza della guerra, l'esasperazione nazionalistica per la 'vittoria mutilata', il mito della rivoluzione bolscevica portarono alla radicalizzazione della lotta politica, che esplose con episodi di vera e propria guerra civile. Nonostante i propositi di rinnovamento, la classe dirigente liberale fu incapace di far fronte all'irruzione di nuove masse nella politica, alla gravissima crisi economica e alle tensioni sociali durante il cosiddetto biennio rosso (1919-20), quando si verificò un'ondata di conflitti di classe senza precedenti nella storia del paese. La rapida successione di governi deboli (1919-22) diffuse la sfiducia verso lo Stato liberale anche fra i ceti borghesi che fino ad allora lo avevano sostenuto, rendendoli disponibili a soluzioni autoritarie. Contro lo Stato liberale scesero in campo anche nuovi movimenti politici che si richiamavano all'interventismo e al mito dell'esperienza di guerra, come il sindacalismo nazionale, il partito futurista, l'arditismo, il fiumanesimo.

I fascisti disprezzavano il Parlamento, esaltavano l'attivismo delle minoranze, praticavano la violenza e la 'politica della piazza' per sostenere le rivendicazioni territoriali dell'Italia e combattere il bolscevismo. Nel primo congresso nazionale (Firenze, 1919), gli iscritti erano poche centinaia. Dopo la sconfitta elettorale del 1919 il f. iniziò un cambiamento di rotta (congresso nazionale di Milano, 1920) per riproporsi, con una conversione a destra, come organizzazione politica della 'borghesia produttiva' e dei ceti medi che non si riconoscevano nei partiti tradizionali e nello Stato liberale, e come baluardo contro il 'pericolo bolscevico' (tale svolta portò tuttavia alla rottura con i futuristi, con gli arditi e con G. D'Annunzio). 

La crescita del movimento, dopo il 1920, fu rapida: si trattava di un aggregato di vari 'f. provinciali' concentrati soprattutto nelle zone rurali della Valle Padana e in Toscana, mentre la presenza fascista era scarsa nelle zone industriali e quasi inesistente nelle regioni meridionali, salvo la Puglia. La borghesia agraria diede un sostanzioso contributo allo sviluppo del f., mentre quella industriale fu più esitante a sostenerlo. 

IL PARTITO NAZIONALE FASCISTA

Forte della sua rapida affermazione, il f. partecipò alle elezioni del 1921 nei Blocchi nazionali, patrocinati da G. Giolitti, conquistando 35 seggi. Il vecchio statista pensava di porre fine allo squadrismo 'parlamentarizzando' il f. ma, dopo il successo elettorale, Mussolini recuperò libertà di azione, mentre continuarono le violenze degli squadristi contro socialisti, comunisti, repubblicani, popolari ed esponenti parlamentari. Il governo Bonomi (1921-22) tentò di porre fine alla violenza politica favorendo un 'patto di pacificazione' fra fascisti, socialisti e dirigenti della CGDL. Attraverso l'accettazione del patto, che aveva incontrato l'opposizione di molti esponenti dello squadrismo, Mussolini voleva anche far valere la sua autorità di capo sui 'f. provinciali', per porre un limite alle violenze squadriste che, sconfitto il socialismo, rischiavano di isolare il fascismo. Nel congresso di Roma (1921) Mussolini riuscì a far accettare definitivamente il suo ruolo di 'duce' e la trasformazione del movimento in Partito nazionale fascista (PNF). Dallo squadrismo, il PNF derivò l'organizzazione e l'ideologia, assumendo definitivamente il carattere di 'partito milizia'. La cultura politica degli squadristi rifiutava il razionalismo e assumeva, come forma superiore di coscienza politica, la fede nei miti di una religione laica fondata sul culto integralista della patria, sul senso comunitario del cameratismo, sull'etica del combattimento e sul principio della gerarchia. Il f. rivendicava una diversità privilegiata dagli altri partiti, ponendosi al di sopra delle leggi in nome della pretesa superiorità della sua etica politica: chi si opponeva al f. era considerato un 'nemico della nazione', contro il quale era lecita qualsiasi forma di violenza.

Nel 1922, con oltre 200.000 iscritti, un esercito privato, associazioni femminili e giovanili, sindacati con circa mezzo milione di aderenti, il PNF era la più forte organizzazione del paese. Esso esercitava un dominio incontrastato in gran parte dell'Italia settentrionale e centrale, operando come un vero e proprio 'antistato'.

LA MARCIA SU ROMA

Nella primavera del 1922, mentre la guida del paese era affidata al debole governo di L. Facta, il f. riprese l'offensiva militare per estendere il suo predominio su altre zone del paese e moltiplicò gli attacchi contro le sinistre e il Partito popolare, sfidando apertamente lo Stato liberale con mobilitazioni di piazza e occupazioni di città. 

L'idea di una 'marcia su Roma' maturò dopo il fallimento dello 'sciopero legalitario', proclamato dall'Alleanza del lavoro per protestare contro il f. e contro la debolezza manifestata dal governo nei suoi confronti. Il PNF reagì con una violenta rappresaglia, distruggendo quel che rimaneva delle organizzazioni operaie. Sottovalutando il fenomeno, la classe dirigente, il mondo economico, le istituzioni tradizionali ritennero necessario, per risolvere il problema del f., coinvolgere il PNF nelle responsabilità di governo, inserendolo in una coalizione presieduta da un esponente della vecchia classe dirigente.

Alla vigilia della marcia su Roma il duce proclamò che il f. rispettava la monarchia e l'esercito, riconosceva il valore della religione cattolica, intendeva attuare una politica liberista favorevole al capitale privato e restaurare l'ordine e la disciplina nel paese. Contemporaneamente il PNF si esibì in nuove manifestazioni di forza, come l'occupazione di Bolzano e di Trento (1-3 ottobre). Combinando la pratica terroristica con il compromesso politico, il PNF mise in atto con successo una nuova tattica di conquista del potere: la marcia su Roma (28 ottobre) dei fascisti armati agli ordini di un quadrunvirato composto da I. Balbo, E. De Bono, C.M. De Vecchi, M. Bianchi, fu un'arma di pressione e di ricatto sul governo e sul re per indurli a cedere alle sue pretese. Vittorio Emanuele III rifiutò di firmare il decreto di stato d'assedio, già promulgato da L. Facta, e il 31 ottobre chiamò al potere Mussolini, con il proposito di incanalare le forze fasciste nella legalità. Al governo parteciparono con i fascisti esponenti liberali, popolari, democratici e nazionalisti. Per la prima volta nella storia delle democrazie liberali europee, il governo era affidato al capo di un partito armato che aveva una modesta rappresentanza parlamentare, ripudiava i valori della democrazia liberale, esaltava la militarizzazione della politica e proclamava la sua volontà rivoluzionaria di trasformare lo Stato in senso autoritario.

Il Patto d'acciaio tra Germania e Italia. Hitler in Italia, Roma e Firenze.

Il mito di Mussolini, personalità carismatica con straordinarie doti di demagogo, fu il fattore principale del consenso che la maggioranza degli Italiani manifestò verso il regime, soprattutto negli anni fra il 1929 e il 1936. Il f. utilizzò inoltre un'efficace macchina propagandistica per la valorizzazione spettacolare dei successi del regime, come la 'battaglia del grano' e la bonifica dell'Agro Pontino.

La campagna in Africa e la fine del fascismo.

Per l'Italia la situazione militare all'inizio del 1943 appariva del tutto negativa: il collasso del fronte africano il 4 novembre 1942 e l'invasione alleata del Nordafrica esposero a sua volta l'Italia all'invasione da parte delle Forze Alleate. La disfatta dell'ottava armata italiana durante la campagna di Russia, gli intensi bombardamenti alleati delle città italiane e la crescente mancanza di generi di prima necessità e materie prime, demoralizzarono la popolazione: era chiaro che la maggioranza del popolo voleva la fine della guerra e la denuncia dell'alleanza con la Germania. 

Per mantenere l'ultima roccaforte dell'Asse in Africa, la Tunisia, l'Italia abbisognava dei massicci aiuti tedeschi. Oltretutto, Mussolini era ancora persuaso che le sorti della guerra si sarebbero risolte nel fronte del Mediterraneo e voleva convincere Hitler a cercare una pace separata con la Russia di Stalin e a muovere a sud l'esercito tedesco. All'incontro tra i due tenutosi a Klessheim, il 29 aprile 1943, espose le sue idee al Führer, che le rigettò. La richiesta pressante di rinforzi per difendere la Tunisia fu rifiutata dalla Wehrmacht, che non confidava più nella volontà di resistenza dell'Italia. All'aggravamento della situazione militare si aggiungeva un altro principale fattore di incertezza, ovvero la salute di Mussolini: depresso e malato, dopo mesi di forti dolori addominali, gli furono diagnosticati la gastrite e la duodenite di origine nervosa, escludendo, con qualche esitazione, la possibilità di un cancro. A causa dei suoi malesseri, Mussolini fu spesso costretto a restare a casa, privando l'Italia di un'effettiva guida.