Letteratura Italiana: i classici 

24/07/2024

Boccaccio, "Decameron": trama 

Il Decameron, l'opera più celebre di Giovanni Boccaccio, viene composto tra il 1349 e il 1353, anche se probabilmente la composizione e la circolazione autonoma di alcune novelle - soprattutto quelle delle prime tre giornate - possono essere antecedenti. Il Decameron racconta la vicenda di dieci giovani che, per sfuggire alla peste del 1348, si ritirano in una villa di campagna, dove trascorrono dieci giornate narrandosi vicendevolmente delle novelle per ingannare piacevolmente il tempo 1.

La sfida alla morale dell'epoca (i giovani, maschi e femmine, convivono sotto lo stesso tetto giorno e notte) si traduce così nell'attività della narrazione, che mette in scena i valori fondamentali della visione del mondo dell'autore: la Fortuna e il caso, la Natura e l'amore, l'ingegno umano e l'abilità con la parola.

Temi, lingua e stile

Ogni giorno, i giovani eleggono un re o una regina che ha il compito di scegliere l'argomento privilegiato su cui raccontare novelle; centrale sarà il tema erotico-amoroso, cui si aggiunge quello dell'avventura e della capacità di alcuni personaggi di cogliere le circostanze più favorevoli dell'esistenza, quello del "motto" e della "beffa" (in novelle come quella di Guido Cavalcanti o di Calandrino) che esaltano l'intelligenza (o deridono la stupidità) del singolo, e quello della rappresentazione della società contemporanea. La Fortuna è considerata qui in un'ottica laica ed immanente, ed è l'elemento fondamentale dello scorrere della vita dell'uomo, che dev'essere sempre pronto a reagire agli imprevisti del caso. A fianco della Fortuna, sta la Natura, cioè l'amore, rappresentato come pulsione naturale e spontanea dell'uomo e della donna, e contro cui è inutile tentare di opporsi. In tal senso, nell'amore boccacciano non c'è nulla di lussurioso od osceno (nonostante le molte censure che hanno colpito il Decameron nel corso dei secoli), perché esso è per l'autore una forza che eleva e nobilita l'animo umano, e ne smuove l'ingegno promettendogli il più lieto degli appagamenti. Il mondo del Decameron di Boccaccio, che è figlio illegittimo di un mercante certaldese, è così quello di due grandi caste sociali: da un lato, la nuova classe mercantile in ascesa, portatrice di un sistema di valori laico e terreno, dall'altro il mondo cortese dell'aristocrazia, contemplato spesso malinconicamente come punto di riferimento di doti sociali ed intellettuali. L'utopia dell'autore è forse quella della fusione tra borghesia e nobiltà, in un tentativo di reagire al clima di distruzione e sventura della peste dilagante a Firenze e in tutta Italia.

Il successo del Decameron ne ha anche consacrato la lingua e lo stile, tanto che Pietro Bembo nelle sue Prose della volgar lingua (1525) indicherà nella cornice dell'opera un modello di stile in prosa. Lo stile di Boccaccio oscilla tra una prosa fiorentina alta e colta, sintatticamente elaborata e ricca di latinismi (come si può vedere nel Proemio), e una lingua più viva e realistica, che caratterizza invece le novelle, in cui è possibile rintracciare alcune sfumature regionali ma soprattutto i termini tecnici di alcune professioni (come quella mercantile) o di origine popolare (frequenti soprattutto quando è in atto una "beffa" ai danni di qualcuno), e abbondanza di eufemismi e doppi sensi per alludere alla sfera sessuale.

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1 Le giornate di fatto passate in campagna sono quattordici, perché comprendono il venerdì di preghiera e la domenica in cui le donne si lavano e curano.


Machiavelli, "Dell'arte della guerra" e le "Istorie fiorentine": analisi

La produzione politica minore del Machiavelli, offuscata dalla pubblicazione del suo grande capolavoro, Il Principe, presenta alcune tematiche ed osservazioni che confluiranno nell'opera maggiore.

Questo è il caso Dell'arte della guerra, opera pubblicata mentre l'autore era ancora vivente e su cui egli si concentra tra il 1519 e il 1520. Questo trattato politico, che si compone di sette libri anticipati da un Prologo, presenta al lettore, sotto forma di un dialogo tra Cosimino Rucellai e Fabrizio Colonna (che dà voce qui ai pensieri del Machiavelli stesso), il tema dell'organizzazione militare cui dovrebbe mirare uno Stato saldo e ben diretto. Machiavelli, guidato dalla consapevolezza che lo accompagnerà in tutta la stesura del Principe, ovvero che è la forza a regolare i rapporti sia tra gli uomini che tra le varie potenze statali, sostiene l'esigenza per uno Stato di avvalersi di un proprio esercito, e di smettere di assoldare truppe mercenarie, pericolose e poco affidabili. L'autore fa leva sulla coscienza perduta di un'età dell'oro italica cui bisogna nuovamente tornare. In quest'ottica egli propone di rifarsi all'organizzazione militare dei Romani (dimostrando, senza dubbio, un certo anacronismo).

Nelle Istorie fiorentine, cui lo scrittore si dedica dal 1520 al 1525, vediamo invece come il Machiavelli ponga la storia alla base di ogni teoria e ragionamento politico, tesi elaborata poi anche ne Il Principe. Sovvenzionata e voluta dai Medici, l'opera è composta da otto libri e si muove dal generale al particolare, secondo un ragionamento di tipo deduttivo, iniziando col parlare della storia italiana per concentrarsi poi su quella di Firenze. La condizione storica e personale attorno alla composizione delle Istorie è quindi paradossale: desiderata dai Medici come opera celebrativa e ufficiale, è commissionata a uno scrittore che attribuisce l'abbruttimento di Firenze proprio all'esercizio del potere da parte di questa signoria. Machiavelli riesce però ad aggirare il problema e ad esprimere il proprio reale punto di vista sfruttando il ruolo degli oppositori ai Medici all'interno dell'opera. Le Istorie testimoniano allora l'attitudine del Machiavelli alla storiografia, e la sua volontà razionale di capire i nessi e i collegamenti tra i vari eventi, e abbandonando la visione provvidenziale e celebrativa della storia.


Alessandro Manzoni: biografia, poetica e pensiero

Alessandro Manzoni (1785-1873) è un punto di passaggio fondamentale per la storia del romanzo italiano: i Promessi Sposi, nei fatti, fondano la nostra civiltà romanzesca, con conseguenze su tutta la letteratura ottocentesca. Il corso, sulla scorta delle videolezioni e dei testi di Alessandro Mazzini, ripercorre la biografia dello scrittore, mettendo particolarmente in luce l'interconnessione tra biografia e poetica, precisando al contempo la natura della fondamentale riflessione manzoniana sui modelli letterari stranieri, sul concetto di romanzo e sulle finalità dell'opera letteraria.

"I Promessi Sposi": l'Innominato, la peste, Renzo e Lucia

La fuga e il rapimento di Lucia, le peregrinazioni di Renzo e la sua esperienza del mondo, la figura provvidenziale del Cardinal Borromeo e quella altrettanto emblematica dell'Innominato (tra tormenti notturni e riscoperta della fede), il dramma collettivo della peste e il ricongiungimento finale degli "sposi promessi"; è con questi elementi che Alessandro Manzoni tesse nel suo romanzo il gran disegno della Provvidenza che, in mezzo ai grandi eventi della Storia secentesca, vede compiersi il destino d'amore di due umili e modesti protagonisti quali Renzo e Lucia.

Il corso - coordinato da Oilproject e curato dal professor Alessandro Mazzini e da Roberta Quattrin - riprende qui le riflessioni compiute nella prima parte, illustrando, attraverso videopresentazioni ed analisi del testo, il variegato universo manzoniano, le scelte stilistiche dell'autore, le figure principali che partecipano agli eventi e la visione del mondo che anima il romanziere cattolico. Completano il tutto gli esercizi di verifica.

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